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Il concetto anarchico della rivoluzione. Libertà e violenza.

Il concetto anarchico della rivoluzione. Libertà e violenza.

Il concetto anarchico della rivoluzione.

Libertà e violenza.

Luigi Fabbri (tratto da “Dittatura e rivoluzione”, Ancona, Libreria editrice internazionale G. Bitelli, 1921)

L’intolleranza di molti socialisti, anche rivoluzionari, di fronte all’anarchismo dipende per gran parte dalla loro assoluta ignoranza sulle idee, gli scopi ed i metodi degli anarchici.

È sbalorditivo costatare che delle persone fra le più intelligenti, d’una vasta coltura politica ed economica, fra i socialisti, quando si tratta dell’anarchia non ne sappiano dir altro che i soliti luoghi comuni senza senso, diffusi dalla peggiore stampa borghese: le affermazioni più strampalate e diffamatorie, le interpretazioni più sciocche. (…)

Nei giornali, nei libri, nelle riviste sono comparse innumerevoli confutazioni socialiste dell’anarchismo; ma, tranne lodevoli eccezioni, quasi sempre si confutavano idee niente affatto anarchiche, attribuite agli anarchici o per ignoranza o per artificio polemico. Specialmente sul concetto della rivoluzione si sono messe in circolazione delle pretese teorie anarchiche così stravaganti, da spingere a dubitare della buona fede di chi le enunciava. Quanto inchiostro sparso, per dimostrare agli «illusi anarchici» che la rivoluzione non si fa coi sassi, coi vecchi fucili o con qualche rivoltella, che le barricate non corrispondono più ai bisogni della lotta odierna! che i moti isolati e improvvisi non bastano! che gli attentati individuali da soli non fanno la rivoluzione! che la sommossa è una cosa e la rivoluzione è un’altra!… E così via, con scoperte peregrine di simile stampo. – ignorando o fingendo d’ignorare che gli anarchici hanno della rivoluzione il concetto più esatto, e più pratico insieme, secondo il significato etimologico, tradizionale e storico della parola.

La rivoluzione, nel linguaggio politico e sociale – ed anche nel linguaggio popolare – è un movimento generale traverso il quale un popolo o una classe, uscendo dalla legalità e rovesciando le istituzioni vigenti, spezzando il patto leonino imposto dai dominatori alle classi dominate, con una serie più o meno lunga di insurrezioni, rivolte, sommosse, attentati e lotte di ogni sorta, abbatte definitivamente il regine politico e sociale a cui, fino allora era sottoposto, ed instaura un ordine nuovo.

L’abbattimento di un regime avviene per solito in un tempo relativamente breve: pochi giorni la rivoluzione di luglio del 1830 che sostituì in Francia una dinastia ad un’altra, poco più d’un anno la rivoluzione italiana del 1848; sei o sette anni la rivoluzione francese del 1789, una dozzina d’anni la rivoluzione inglese della metà del secolo XVII. La rivoluzione, e cioè la demolizione di fatto di un regime politico e sociale preesistente, è in sostanza la conclusione di una evoluzione anteriore, che si traduce nella realtà materiale, spezzando violentemente le forme sociali e l’involucro politico non più atti a contenerla. Essa finisce col ritorno ad uno stato normale, quando la lotta è cessata, sia che la vittoria permetta alla rivoluzione d’instaurare un nuovo regime, sia che la sua sconfitta parziale o totale restauri in parte o in tutto l’antico, dando luogo alla controrivoluzione.

La caratteristica principale per cui si può dire che la rivoluzione è incominciata è l’uscita dalla legalità, la rottura dell’equilibrio e della disciplina statale, l’azione impunita e vittoriosa della piazza contro la legge. Prima di un fatto specifico e risolutivo di questo genere non v’è ancora rivoluzione. Può esservi uno stato d’animo rivoluzionario, una preparazione rivoluzionaria, una condizione di cose più o meno favorevole alla rivoluzione; possono darsi episodi più o meno fortunati di rivolta, tentativi insurrezionali, scioperi violenti o no, dimostrazioni anche sanguinose, attentati, ecc. Ma finché la forza rimane alla legge vecchia ed al vecchio potere non si è entrati ancora in rivoluzione.

La lotta contro lo Stato, difensore armato del regime, è dunque la condizione sine qua non della rivoluzione. La quale tende a limitare quanto più può il potere dello Stato ed a sviluppare lo spirito di libertà; a spingere fino al limite massimo possibile il popolo, i sudditi della vigilia, gli sfruttati e gli oppressi, all’uso di tutte le libertà individuali e collettive. Nell’esercizio della libertà, non coartato da leggi e governi, risiede la salute di ogni rivoluzione, la garanzia che questa non sia limitata od arrestata nei suoi progressi, la sua migliore salvaguardia contro i tentativi interni ed esterni di strozzarla.

Alcuni ci dicono: «Comprendiamo che, come anarchici essendo contrari ad ogni idea di governo, avversiate la dittatura che ne è l’espressione più autoritaria; ma non si tratta di proporsela come scopo, bensì come mezzo sia pure antipatico ma necessario, com’è un mezzo necessario ma antipatico la violenza, durante il periodo provvisorio rivoluzionario, necessaria a vincere le resistenze e i contrattacchi borghesi».

Altro è la violenza, altro l’autorità governativa, sia questa o no dittatoriale. Se è vero infatti che tutte le autorità governative si basano sull’uso della violenza, sarebbe inesatto ed erroneo dire che ogni «violenza» è un atto di autorità, per cui se è necessaria la prima lo diventi anche la seconda. La violenza è un mezzo che assume il carattere del fine per cui è adoperata, del modo come viene usata, delle persone che se ne servono. Essa è un atto d’autorità quando è adoperata per imporre agli altri di fare a modo di chi comanda, quando è emanazione governativa o padronale, e serve a tener schiavi popoli e classi, ad impedire la libertà individuale dei sudditi, a far ubbidire per forza. È invece violenza libertaria, vale a dire atto di libertà e di liberazione, quando è adoperata contro chi comanda da chi non vuol più ubbidire; quando è diretta a impedire, diminuire o distruggere una qualsiasi schiavitù, individuale o collettiva, economica o politica ed è adoperata dagli oppressi direttamente, individui o popoli o classi, contro il governo e la classe dominante. Tale violenza è la rivoluzione in atto, ma cessa d’essere libertaria e quindi rivoluzionaria, non appena vinto il vecchio potere vuole essa stessa divenire un potere e si cristallizza in una forma qualsiasi di governo.

È questo il momento più pericoloso di ogni rivoluzione: quando cioè la violenza libertaria e rivoluzionaria vincitrice si può trasformare in violenza autoritaria e controrivoluzionaria, moderatrice e limitatrice della vittoria popolare insurrezionale. È il momento in cui la rivoluzione può divorare se stessa, se vi prendono il sopravvento le tendenze giacobine, statali, che fin da ora si manifestano attraverso il socialismo marxista favorevole allo stabilimento di un governo dittatoriale. Compito specifico degli anarchici, derivante dalle stesse loro concezioni teoriche e pratiche, è per l’appunto di reagire contro tali tendenze autoritarie e liberticide; con la propaganda oggi e con l’azione domani.

Quelli che fanno una distinzione fra anarchia teorica ed anarchia pratica, per sostenere che l’anarchia pratica non dovrebbe essere anarchica ma dittatoriale, non hanno bene compreso l’essenza dell’anarchismo nel quale non è possibile dividere la teoria dalla pratica, in quanto per gli anarchici la teoria scaturisce dalla pratica ed è a sua volta una guida per la condotta, una vera e propria pedagogia dell’azione.

Molti credono che l’anarchia consista solo nell’affermazione rivoluzionaria ed ideale insieme d’una società senza governo, da instaurare in avvenire ma senza legame con la realtà attuale; per cui oggi si possa o si debba agire in contraddizione col fine propostoci, senza scrupoli e senza limiti. Così, in attesa dell’anarchia, ieri ci consigliavano provvisoriamente di votare nelle elezioni come oggi ci propongono di accettare provvisoriamente la dittatura cosiddetta proletaria o rivoluzionaria.

Ma niente affatto! Se fossimo anarchici solo nel fine e non nei mezzi, il nostro partito sarebbe inutile; perché, la frase di Bovio, che anarchico è il pensiero e verso l’anarchia va la storia la possono dire e approvare (come infatti molti dicono di sottoscriverla) anche coloro che militano in altri partiti di progresso. Ciò che ci distingue, non solo in teoria, ma anche in pratica dagli altri partiti è che non soltanto noi abbiamo uno scopo anarchico ma anche un movimento anarchico, una metodologia anarchica; in quanto pensiamo che le vie da percorrere, sia durante il periodo preparatorio della propaganda sia in quello rivoluzionario, sono le vie della libertà.

La funzione dell’anarchismo non è tanto di profetare un avvenire di libertà, quanto di prepararlo. Se tutto l’anarchismo consistesse nella visione lontana d’una società senza Stato, oppure nell’affermare dei diritti individuali, o in una questione puramente spirituale, astratta dalla realtà vissuta e riguardante solo le singole coscienze, non vi sarebbe alcun bisogno di un movimento politico e sociale anarchico. Se l’anarchismo fosse semplicemente un’etica individuale, da coltivare entro di sé, adattandosi nel medesimo tempo nella vita materiale ad atti e movimenti con quella contraddittori, ci si potrebbe dire anarchici ed appartenere ai più diversi partiti; e potrebbero esser chiamati anarchici tanti, che pur essendo essi stessi spiritualmente ed intellettualmente emancipati, sono e restano sul terreno pratico nemici nostri.

Ma l’anarchismo è altra cosa. Non è un mezzo di chiudersi nella torre d’avorio, bensì una manifestazione di popolo proletaria e rivoluzionaria, una partecipazione attiva al movimento di emancipazione umana con criteri e finalità ugualitarie e libertarie insieme. La parte più importante del suo programma non consiste soltanto nel sogno, che pur vogliamo si avveri, d’una società senza padroni e senza governi, ma sopratutto nella concezione libertaria della rivoluzione, della rivoluzione contro lo Stato e non per mezzo dello Stato, della idea che la libertà è non solo il calore vitale che riscalderà il nuovo mondo di domani, ma anche e sopratutto, oggi stesso, un’arma di combattimento contro il vecchio mondo. In questo senso l’anarchia è una vera e propria teoria della rivoluzione.

Tanto la propaganda oggi come la rivoluzione domani hanno quindi ed avranno bisogno del massimo possibile di libertà per svilupparsi. Ciò non toglie che si debbano e possano proseguire lo stesso anche se la libertà ci venga in parte, poco o molto, tolta; ma il nostro interesse è d’averne e di volerne più ch’è possibile. Altrimenti non saremmo anarchici. In altri termini, noi pensiamo che quanto più agiremo in modo libertario tanto più contribuiremo non solo ad avvicinarci all’anarchia, ma a consolidare la rivoluzione; mentre ce ne allontaneremo e indeboliremo la rivoluzione ogni qual volta ricorreremo a sistemi autoritari. Difendere la libertà per noi e per tutti, combattere per la libertà sempre più estesa e completa, tale è dunque la nostra funzione, oggi, domani, sempre, – in teoria ed in pratica.

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